Oggi vi parlo di “1989” rapper che narra le contraddizioni più comuni con ironia e del nuovo brano “CONOSCO UNO CHE CONOSCE UNO” pubblicato il 28 giugno 2020, singolo che racconta delle diverse personalità che risiedono in ciascuno di noi, ed è quindi un concentrato di storie e diversi personaggi in un unico testo.
Un messaggio complesso e creativo, racchiude attimi di leggerezza con spunti di riflessione.
Di seguito il videoclip...
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Su atmosfere diverse ma coerenti l’una con l’altra il video si presenta come un buon prodotto ed enigmatico quanto il testo.
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“Tony Montana al contrario,
Anche se a volte è disumano,
il mondo è bello perchè è vario
tranne se lo vedi sempre dal divano”
Cit. “1989”
Da queste righe si evince che non lascia nulla al caso e ha sempre chiari i suoi obiettivi attuando strategie per perseguirli.
Per approfondire la conoscenza ho fatto 10 domande al rapper “1989”.
Di seguito trovate la chiacchierata…
1. Il nome “1989” a cosa è dovuto, com’è nato...?
Diversi anni prima di cambiare nome d’arte in 1989. (prima mi facevo chiamare FunkyD), ero in viaggio in auto da Cassino a Roma e mi balenò in testa questa mezza idea. Il nome FunkyD mi piaceva sempre meno, mentre la scelta di chiamarmi con un numero, con un anno, la trovavo originale.
Nei miei testi, poi, racconto, letteralmente, il mondo di oggi, tanto evoluto quanto distopico, quindi il mio nome d’arte vuole essere anche un riferimento a 1984 di George Orwell.
2. Tre aggettivi per descrivere la tua musica...?
Diretta: perché so esattamente quello che voglio dire, e come voglio dirlo. All’inizio la mia scrittura era molto più astratta e introspettiva, a volte non sapevo neanche io bene in che direzione andare quando iniziavo a scrivere un testo. Ora è tutto più a fuoco, e il disgusto che mi danno certi aspetti della società in cui viviamo li espongo senza troppi giri di parole.
Per tutti: vorrei che la mia musica non fosse limitata a un pubblico prettamente di ascoltatori rap; ora è un po’ più facile, perché il rap in Italia è stato finalmente sdoganato, prima era una roba davvero riservata alla nicchia dei rappusi. Infatti, anni fa, quando ricevevo dei complimenti per un mio pezzo da qualcuno che sapevo che di norma non ascoltasse rap, ero contento il doppio.
Contro corrente: perché non seguo alcuna moda o wave musicale del momento. Al massimo, nel corso del tempo, ho cercato di evolvermi e di adattare un minimo la mia musica agli ascoltatori di oggi, che non sono gli stessi di 5-6 anni fa, inserendo elementi che “svecchino” un po’ il sound o il modo di rappare.
3. Il duetto dei tuoi sogni..?
Se parliamo proprio di sogni, sicuramente un duetto per me tanto desiderato, quanto improbabile, sarebbe con Tom Waits. Non so in quale universo parallelo un personaggio come lui accetterebbe, né cosa ci potrebbe uscire, ma io dopo essere stato con lui su una traccia potrei anche ritirarmi felicemente.
4. Se non fossi rapper saresti...?
Probabilmente avrei continuato a suonare la batteria, se non avessi deciso di dedicarmi totalmente al rap. L’ho suonata per 3-4 anni dalle medie al liceo, ma ad un certo punto mi sono trovato a dover scegliere se spendere i miei soldi per comprare la mia prima batteria, per potermi esercitare anche a casa, o per comprare l’attrezzatura per registrare i miei primi pezzi. Insomma, si intuisce come è andata a finire. Ricordo ancora il momento in cui dovetti mollare il gruppetto che avevo con due miei compagni del liceo, per questa ragione qui.
5. Il verso di "conosco uno che conosce uno" che ti racconta meglio...?
“Lascia un piede nel passato, anche quando prosegue”
Credo che sia una condizione comune un po’ a molti, quella di continuare a restare ancorati a certe situazioni, o addirittura restare aggrappati a certe persone che riguardano il passato, seppur continuando a viverne e a conoscerne di nuove. Certi fantasmi sembrano destinati a non sparire mai, ma c’è una bella distinzione tra il non dimenticare mai una persona o una situazione, e il restarne intrappolato senza riuscire mai davvero a liberarsene; stare costantemente con un piede dentro il passato, senza quindi proseguire verso il futuro con entrambe le gambe.
6. La tua canzone “biglietto da visita”...?
Non saprei dirtene una in particolare. Probabilmente la mia canzone preferita che ho scritto è presente nel mio ultimo progetto col vecchio nome, un EP chiamato “Lo zen, oppure l’abilità di catturare un killer”, e la canzone in questione è l’ultima, “Chi l’ha ucciso?”. Parla delle varie uccisioni avvenute in Italia per mano delle forze dell’ordine, molte delle quali sono rimaste ancora impunite.
7. Per la realizzazione dei progetti o per le performance sul palco, c’è un episodio speciale o un aneddoto curioso e significativo per te?
Una volta ho fatto un live in un mercato coperto. Era al mercato di Primavalle, a Roma, ed era un evento artistico organizzato da un mio amico. Il mio palco era praticamente uno dei banchi del mercato. C’era pochissima gente e io ero preso malissimo, la situazione era super hardcore e l’acustica era quella che era. Quasi non volevo esibirmi, ma poi quei miei amici che vennero a vedermi mi dissero: “eh no, ormai siamo venuti, adesso fai il live per noi!”. Avevano ragione in effetti: uno dovrebbe sempre fare i propri concerti per la gente che c’è e che è venuta a vederti, non per quella che ci sarebbe potuta essere. Alla fine ho fatto un bello show per quei pochi che c’erano, e ho comunque un ottimo ricordo di quella sera.
8. Ascoltando il tuo singolo emerge subito un certo distacco da tutto quello che è il rap in questo momento… insomma il tuo stile non è certo seguire una moda, cosa pensi della situazione attuale del rap in Italia, (come ad esempio, il dilagare della trap & co) rapportato anche al tuo modo di fare musica?
Per quanto riguarda il discorso rap in Italia, c’è una confusione assurda, tutto viene definito in modo sbagliato, e non si danno i giusti nomi alle cose. Spesso non si sa bene di cosa si stia parlando.
Io ho fatto caso a varie cose: ad esempio, a volte vengono definiti rapper dei cantanti, che magari prima, anni fa, rappavano pure, ma adesso cantano e basta; poi, se fai ascoltare un pezzo rap uscito nel 2021 a un ragazzetto delle nuove generazioni, può succedere che te lo bolli come “old school”, quando in realtà è semplicemente quello che è: rap. Il fatto è che magari per lui il rap “new school” è la trap, o il cantante di cui sopra che canta ma non rappa (ma viene definito rapper dai media), quando in realtà tutta questa roba ha altri nomi, che sono appunto “trap”, “canto” etc., di certo non “rap new school”.
I responsabili di questa confusione sono diversi, a partire dai siti e dalle riviste di settore che non chiamano col giusto nome le cose, proseguendo con gli artisti stessi, che non fanno chiarezza su quello che è il loro percorso musicale attuale. Per dire, nessuno si sognerebbe di scrivere ancora in un articolo “Il rapper Neffa…”, perché sono anni che ha preso una strada diversa, e lo ha detto e fatto capire chiaramente. Ma questo è successo 20 anni fa, quando aggiungere la parola “rapper” era quasi un handicap, adesso invece fa comodo continuare ad accostare la parola “rapper”, perché va di moda, perché è stato ampiamente accettato, persino a Sanremo. È quasi un punto a favore.
Io, personalmente, in questo marasma cerco di fare arrivare il mio rap a più persone possibili, in modo da rendere chiaro a tutti cosa sia, questo rap.
9. In molti aspettano il tuo nuovo album che, da spoiler, sappiamo essere in lavorazione. Puoi anticiparci qualcosa in merito...?
Posso anticipare che sarà un album ricco di contenuti e spunti di riflessione. Non sto trascurandone però né la tecnica, né l’orecchiabilità, né lo spessore musicale. L’odio va di moda, questo sarà il leitmotiv.
10. Per chiudere! Cosa vuol dire per te essere un rapper...?
Il rap è una forma di espressione come tante altre, e nasce appunto come mezzo per dare voce, per avere la possibilità di esprimere quello che si ha dentro o una qualsiasi altra cosa, e non nasce (quindi non deve esserlo necessariamente), come mezzo di denuncia, come molti pensano.
Per quanto mi riguarda, è la forma di espressione che più amo e che ho scelto di utilizzare, quindi non mi pongo limiti su quello che posso dire o non dire.
L’unica cosa che mi sento di dire che un rapper dovrebbe fare, è di conoscere, approfondire e contribuire alla divulgazione della cultura Hip Hop, la cultura da cui il rap nasce e si sviluppa. Intanto perché è un movimento meraviglioso, e poi, se non altro, per capire da dove nasce tutta questa roba che sta riempendo diversi portafogli.
Fine.
Mi auguro, di tornare presto a parlare di lui e dei progetti futuri che lo riguardano.
Nell’attesa, supportiamo il nuovo brano di 1989!
Prima dei saluti, vi invito nel continuare a seguirci per restare sempre aggiornati sulle news musicali!
Il team di Fare Rap è sempre felice di presentarvi progetti validi come questo.
Alla Prossima!