Oggi ti parliamo di uno dei nostri recensori, Voide, e nello specifico del suo nuovo EP “I fiori della banalità”, uscito lo scorso 12 dicembre.
Dopo aver pubblicato alcuni singoli contenenti collaborazioni interessanti, ora Voide ha dato alla luce questo EP (nonchè il suo primo disco) di sei tracce, in cui possiamo cogliere una buona capacità di scrittura e una grande vicinanza alla poesia e alle tematiche baudeleriane (come ci spiegherà lui stesso nell’intervista che segue). Infatti, quasi ogni titolo ci riconduce ad immagini della poesia di questo poeta, rivisitate e reinterpretate dall'artista in chiave moderna, così come i riferimenti contenuti nei testi alla noia, all’attività di flaneur per le vie cittadine, al nulla e al vuoto che opprimono la nostra anima.
E le tenia crea il vuoto che mi riempie lo stomaco
basta che sia più profondo di me e ci affondo
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I brani di questo EP trasmettono un senso di malinconia, di mancanza di felicità che caratterizza l’umanità (un “concetto insondabile di cui siamo drogati ma in stato di astinenza”, per citare le sue rime), per cui ci si sente sempre in bilico “tra eterno e stantio”; una tristezza curata dall’arte e dalla scrittura, ma anche dall’aspirazione alla Bellezza (concetto che rappresenta l’ideale a cui miriamo, il cui pensiero ci può consolare nella vita).
Leggendo i testi ti accorgerai che possono essere visti come delle vere e proprie poesie, non solo le tematiche ma anche il linguaggio usato ci porta dritti nell’atmosfera e raffinatezza di un libro di componimenti poetici.
Le basi sono molto d’impatto, di stampo vecchia scuola, arricchite da sonorità malinconiche e rievocanti tempi antichi; le ho trovate perfette al caso.
Ci tengo a ringraziare ancora Voide per aver deciso di rendermi partecipe al suo disco grazie al disegno di copertina, che ho realizzato a partire da una sua idea (basata sul significato e contrasto tra la mantide orchidea e i fiori stessi)... è stato un piacere!
Infine ti ricordo che puoi ascoltare l’EP su youtube (qui la playlist), e lì troverai anche le informazioni su come scaricare le grafiche e i testi, così come il sito dove acquistarlo in versione digitale (bandcamp).
Ora ti lascio all’intervista dedicata a Voide, che ci parlerà meglio di lui, della sua passione per la musica e ovviamente del suo EP. Buona lettura!
Partiamo dall’inizio: come nasce il tuo nome d’arte?
Inizialmente, come tu saprai, ero solito farmi chiamare “Bat”. Il giorno del mio primo live (13/11/2015) sorse però un inconveniente intorno al mio nome d’arte, poiché Bat era già un MC di una zona vicina, e i miei compagni di crew non volevano avere problemi a questo riguardo.
Dovetti quindi cambiare nome in un tempo molto breve, e la prima cosa che mi venne in mente fu quella di storpiare la parola inglese “void” (in quel periodo ero un grande fan di Void Pedal, e avevo scritto da poco tempo “Nero”, un brano, tra l’altro presente nel disco, che parla della ricerca del vuoto).
Per storpiarlo giocai sulla pronuncia francese del dittongo “oi” e, per essere francese fino in fondo, aggiunsi la “e” alla fine che, per quanto muta, permette di leggere la “d”.
Parlaci della tua passione per la musica e il rap: da dove nasce? Quali sono gli artisti che più ti hanno ispirato?
Caparezza iniziò a diventare famoso quando ero molto piccolo, e ricordo che i miei genitori me lo facevano ascoltare in auto: da lì nacque la mia passione per la musica, anche se inconsapevole che quella, in modo specifico, si chiamasse rap.
Per quanto riguarda le altre fonti d’ispirazione si va a periodi: quando avevo cinque anni conoscevo a memoria parecchi brani di De Andrè, qualche anno dopo alternavo musica Punk e musica Reggae; al rap mi ci avvicinai verso i 10-11 anni, con i primi successi di stampo commerciale di MC come Fabri Fibra e Vacca.
Quando iniziai a rappare invece scopiazzavo da Bonnot (mio maestro dell’epoca) e gli Assalti Frontali, a cui è seguita un’ondata di artisti politici come il Signor K e Frankie Hi Nrg. Finita questa fase mi sono buttato dapprima nel rap old school, e poi in quello new school più poetico, ascoltando MC come Ghemon, Mecna, Rancore, Murubutu e Claver Gold.
Terminata anche la fase poetica, mi sono dedicato a generi come il trip hop e il downtempo, sviluppati soprattutto in scene come quella francese e quella olandese. Dopoidiché sono andato a recuperarmi per bene la musica nera (jazz in particolare), ascoltando artisti come Miles Davis, Nina Simone e Marvin Gaye. Ultimamente mi sto interessando alle origini di questa musica: passo le giornate studiando worksong e musica tipica africana.
Quanto è importante secondo te al giorno d’oggi potersi esprimere per mezzo di una forma d’arte?
Per rispondere realmente a questa domanda dovrei essere, allo stesso tempo, me stesso e un artista dei secoli scorsi; tuttavia, data la mia reale identità, posso solo dirti che l’espressione di se stessi sotto forma di bellezza è sempre importante, in un modo o nell’altro.
Parliamo ora del tuo nuovo lavoro, “I fiori della banalità”: come si è svolta la gestazione dell’EP? La scelta delle basi? delle sonorità? Ispirazioni principali di ogni tipo (se ci sono state?)
Come puoi immaginare, tutto è partito dai testi (e a dire il vero è finito nello stesso punto, dato che ho riscritto il disco quattro volte – di cui l’ultima a giugno – dall’inizio del lavoro). Il primo che ho scritto è stato “Tenia Del Tedio” nel marzo 2015, l’ultimo “Lo Spleen Di Bergamo”, nel maggio 2016.
Le strumentali le ho pagate un rene e mezzo a JIM, un ex-beatmaker francese noto nella scena trip hop mondiale. Ho scelto lui per due motivi principali: in primis faceva gli sconti del 75% per Natale, in secundis in quel periodo era il mio musicista preferito, ed ero convinto che nessuna sonorità potesse accompagnare le mie parole come la sua. A distanza di un anno sono convinto di aver fatto la scelta migliore: i suoi beat sono quello che, probabilmente, da la marcia in più al disco, non per altro ho dato più spazio ad essi che al mio rap.
Per quanto riguarda le ispirazioni principali: il disco riprende chiaramente i Fiori Del Male di Baudelaire ma, dato che ne parli tu stessa in alcune domande successive, direi di lasciare ogni cosa al suo tempo.
Qual è il concetto che sta dietro al tuo EP? Cosa hai voluto trasmettere?
Con questa inizio a rispondere alla parte che prima ho lasciato in sospeso. Il disco è una rivisitazione molto sintetica di “Spleen e Ideale”, il primo e più corposo capitolo de “I Fiori Del Male”. Ho apprezzato particolarmente questo capitolo perché ho trovato nei due concetti espressi nel titolo una perfetta rappresentazione dell’assoluto umano: l’ideale è la bellezza suprema cui miriamo e il palliativo che porta felicità nelle nostre vite, lo spleen è invece la sofferenza e la tristezza a cui l’uomo è naturalmente destinato.
Termino la risposta riprendendo una parte della descrizione del disco: “Come deducibile dalla parte finale del titolo, la differenza sostanziale sta nell’entità nascosta dalla bellezza dei fiori: nel caso del poeta francese il male, nel caso di Voide la banalità, ovvero ciò che il male è diventato dopo anni di evoluzione nella società che abitiamo."
In conclusione, l’obiettivo del disco è di riscoprire il male presente nella banalità della routine e nascosto dai fiori.
Già dal titolo, ma anche all’interno dei testi, possiamo cogliere echi baudeleriani e decadenti: quanto ti hanno ispirato queste tematiche?
Come spiegato nella domanda precedente, Baudelaire è stato la base di questo disco. Detto questo, sono presenti citazioni ad altri autori artisti (più o meno conosciuti) come Ungaretti, Pippo Del Bono, Rancore, Alex Avoti e Giorgio Tomasi.
C’è una traccia in particolare, “Lo spleen di Bergamo”, in cui parli della tua città e ti descrivi come un flaneur: quanto ti ha ispirato Bergamo e il contesto cittadino per la stesura dei tuoi versi?
"Lo Spleen Di Bergamo” riprende “Lo Spleen Di Parigi”, in altro libro di Baudelaire che riporta, attraverso dei “poemetti in prosa”, “i casi della rima” incontrati da un Flaneur mentre gira per Parigi. L’idea del pezzo è quindi di far capire come “quel mondo strano e complesso che vedono e raccontano gli artisti” possa essere trovato semplicemente guardando con occhio diverso la quotidianità: altro concetto che sta alla base del disco, e che viene ribadito in modo chiaro nella prima traccia. Detto questo, il brano viene reso in chiave molto leggera e può essere anche letto in chiave ironica, se si riescono a cogliere alcuni aspetti.
Parlando di me: un flaneur lo sono davvero, e amo camminare per la mia città per schiarirmi le idee e cercarne di nuove (cammino fino a 20 chilometri a sessione); in questo caso Bergamo è però il mezzo che utilizzo per dare una cornice alla vicenda, e sostituendo questo nome con quello di una qualsiasi altra città, il nocciolo della questione non cambia; nonostante la figura rozza e ignorante cui è legata la mia città faciliti l’interpretazione più ironica e velata del testo.
Per quanto riguarda il mio effettivo rapporto con la mia città natale, si può dire che me la sono fatta piacere finché non ho scoperto la sua vera bellezza; tuttavia, per ora, questo rapporto è troppo immaturo poiché ispiri al 100% un mio brano, ma non escludo affatto questa ipotesi per il futuro.
Con quali artisti ti piacerebbe collaborare in futuro? Progetti?
“Presto” riuscirò a mettere in bacheca qualche brano con il Signor K, che per me è un traguardo davvero enorme; ho anche in ballo una collaborazione con Sistah Awa, ma per ora il progetto è fermo. Mi piacerebbe anche tornare a lavorare con Bonnot, ma una serie di circostanze mi è sfavorevole, in questo caso.
Parlando di progetti che sto portando avanti al momento, posso assicurarvi solo che porterò avanti la collaborazione con Flipper MC e Mr. Nobody; in oltre, ultimamente, mi sto avvicinando molto alla Paranoid, dato il rapporto che la lega con Fare Rap.
Colgo l’occasione per annunciare che presto usciranno due tracce molto particolari prodotte da me: quando il progetto sarà più definito ne parlerò pubblicamente.
C’è qualcosa che vuoi aggiungere, su di te e la tua musica, che nessuno ti ha mai chiesto?
Non ho nulla da aggiungere in particolare. Sfrutto lo spazio per ricordare ai lettori di supportare Voide MC sulle sue pagine social e di acquistare/scaricare il nuovo disco!
Infine, una domanda che è ormai di rito: di quale colore è l’hip hop secondo te? Perchè?
Dipende dal mezzo e dal punto di vista: secondo me neanche Oliver Messiaen sarebbe in grado di risponderti precisamente. Al concetto generale non so dare un colore, ai singoli casi riesco: un brano “jazzy” lo vedo verde, giallo e blu, un brano “funky” più arancione e beige, il mio disco lo immagino come una tela nera, rotta occasionalmente nella sua uniformità da schizzi di magenta, rosa e bianco.
Introduzione e intervista a cura di Alessia
Risposte di Voide